92 progetti per Bergamo e Brescia Capitali della Cultura
Fondazione Cariplo e le Fondazioni di Comunità di Bergamo e Brescia insieme per la promozione culturale delle realtà locali
A Brescia, nel palinsesto di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023, dal 19 al 28 maggio, 10 giorni di eventi per incontrare il Progetto Verziano realizzato da Compagnia Lyria in collaborazione con il Ministero della Giustizia Casa di reclusione Verziano Brescia.
Performance di danza con detenuti e liberi cittadini, un convegno nazionale, una mostra fotografica, spettacoli e spazi di dialogo per conoscere la storia del progetto e i suoi protagonisti.
Il progetto sviluppa il tema della “Cultura come cura”, in quanto strumento di prevenzione e socializzazione che influenza il benessere delle persone, attraverso processi di inclusione e accoglienza per la costruzione di relazioni di comunità.
In Straordinarie Visioni #12 anni di carcere, il carcere non è luogo relegato ai margini, ma trova uno spazio anche al centro, nei cuori delle città che quest’anno sono il simbolo della cultura italiana.
Il progetto ha ricevuto un sostegno di 35.000 euro nell’ambito del bando “CAPITALE DELLA CULTURA 2023 Fondazione Cariplo e le Fondazioni delle Comunità Bergamasca e Bresciana insieme per il territorio”
«Iniziare partendo da esercizi fisici per sciogliere i muscoli. Iniziare dal proprio corpo: collo, schiena, gambe, ginocchia, piedi, gomiti. Iniziare: mento che va su, occhi che vanno giù, mente che va giù, occhi che vanno su. Iniziare a mettersi in gioco».
«La rivincita sulla vita è che, essendo in carcere, ti senti invalidato sotto tutti gli aspetti. Perché, è naturale, stai pagando uno sbaglio commesso. Il fatto di partecipare a uno spettacolo, sentirti importante, è la rivincita che tu provi dopo che hai vissuto una detenzione».
Il Progetto Verziano nasce nel 2011 con l'intento di realizzare un'azione di sensibilizzazione sul tema dell'integrazione tra realtà carceraria e società civile e per scalfire gli stereotipi e i pregiudizi delle diversità.
Nel panorama delle iniziative che vengono realizzate nelle realtà carcerarie in Italia, il progetto Verziano, giunto quest’anno alla sua dodicesima edizione, ha caratteristiche che lo rendono unico.
Lo racconta Giulia Gussago, la direttrice artistica della compagnia Lyria: «Ci sono molti progetti di teatro che vengono portati avanti nelle carceri italiane, è molto raro invece incontrare iniziative focalizzate sulla pratica della danza contemporanea, perché è una disciplina che prevede il contatto fisico. Inoltre, il progetto Verziano prevede laboratori in cui detenute e detenuti danzano insieme e anche questo di solito non accade, perché la vita in carcere è sempre molto divisa e le sezioni maschili e femminili non si incontrano mai. Un’altra peculiarità del nostro progetto è che non è riservato ad operatori e detenuti, ma partecipano anche liberi cittadini, i miei allievi della compagnia. E in questa edizione, per la prima volta, abbiamo portato nel carcere anche gli studenti».
Nelle “straordinarie visioni” di quest’anno c’è anche quella degli studenti di due classi di due Istituti superiori di Brescia, lo “Sraffa” e il “Lunardi”, che hanno danzato insieme ai detenuti, alle detenute e ai liberi cittadini.
Francesca Paola Lucrezi è la direttrice della Casa di reclusione Verziano di Brescia e da subito ha creduto in questo progetto: «Un istituto di pena è in gran parte “fatto” dal suo direttore. È la figura centrale di ogni istituto, la persona che imprime la direzione alla vita che si svolge in carcere e alla creazione di opportunità di reintegrazione. Francesca Paola Lucrezi è una direttrice illuminata e, nella sua visione la cultura e la pratica artistica sono strumenti ideali per la rieducazione della persona. Negli anni ha accolto tutte le nostre proposte, anzi a volte ha rilanciato su progetti più arditi. Un anno abbiamo messo in scena uno spettacolo nel campo sportivo del carcere, c’erano 300 cittadini. Da quest’anno è diventata direttrice anche dell’altro istituto penitenziario di Brescia, la Casa Circondariale Nerio Fischione, che è un carcere in una situazione molto più critica rispetto al Verziano, è una struttura vecchia e sovraffollata. Ma abbiamo iniziato a lavorare anche lì con lei, dove c’è un’intenzione forte si possono fare cose stupende»
«La danza ha un valore liberatorio che in un contesto come il carcere è essenziale. Liberare il corpo nel movimento scioglie le emozioni compresse, anche la rabbia. Oltre a mantenere le persone in una condizione di maggior benessere, e quindi a favorire una convivenza quotidiana più serena, aiuta i detenuti a percepirsi in un modo diverso e a interagire con il mondo in un modo diverso. E questo deve accadere dentro il carcere, perché se non accade significa che i detenuti saranno uguali a prima nel momento in cui torneranno liberi».
«Nel carcere uomini e donne non possono mai stare insieme, nei nostri laboratori lo possono fare una volta alla settimana e un sabato ogni mese, insieme ai liberi cittadini. E nella danza c’è anche l’incontro fisico, l’aprirsi al sentire dell’altro e al proprio. Facendo entrare il corpo nell’attività in carcere si scatenano reazioni ed emozioni, una bomba di emozioni, e questo è ovviamente anche un rischio e va gestito, ma prima di tutto è un valore, che cambia il comportamento delle persone. È molto più rischioso per la comunità quello che accade di solito cioè che una persona sconta una pena di 10, 15 anni senza aver mai potuto toccare la mano di una donna o di un uomo. Come uscirà dal carcere?
«Nella comunità ci sono sempre due posizioni verso i detenuti, che in genere sono contrastanti tra di loro: quella più di apertura e quella “Chiudiamoli dentro e buttiamo la chiave”.
Negli incontri di preparazione all’ingresso in carcere che abbiamo tenuto nelle scuole, c’erano ragazzi che inizialmente avevano delle riserve e confrontandoci con noi, ci hanno detto: “Non è giusto che spendiamo le nostre risorse per aiutarli, devono scontare la loro pena perché hanno sbagliato”. È un atteggiamento molto comprensibile, ma che poi è mutato dopo l’esperienza.
Danzare, fare fatica insieme, sbagliare: è stato un incontro trasformativo per tutti per i ragazzi ma anche per i detenuti. Io ho fatto in modo che, al momento dell’ingresso in carcere dei ragazzi, i detenuti fossero confusi insieme ai liberi cittadini, gli allievi della scuola, già intenti a ballare. Nessuno poteva sapere chi era l’altro, nei costumi di scena sono tutti uguali, questo era spiazzante, ma simbolicamente molto importante. Ho negli occhi i sorrisi delicati ed emozionati dei ragazzi durante il lavoro, il loro imbarazzo iniziale e poi il clima bellissimo che è nato danzando insieme, la fiducia e l’abbandono.
Una delle detenute più giovani alla fine della performance piangeva e ha detto: “È stato bellissimo ma io mi sono anche intristita pensando alla fortuna che hanno questi ragazzi di essere liberi di studiare e imparare: io non l’ho potuto fare”: però anche questo è il seme di una possibile trasformazione: rivedo il mio passato alla luce di un presente che è diverso da quello che ho vissuto io, capisco l’errore e intravedo che un’altra possibilità però esiste.
I ragazzi, prima di andarsene, hanno lasciato delle testimonianze scritte per i detenuti, una più bella dell’altra.
Laura Milesi, 18 anni: «È stato importante fare un percorso di preparazione prima dell’incontro in carcere. Gli operatori e i volontari ci hanno raccontato le loro esperienze e ci hanno riflettere sul fatto che anche nella realtà che viviamo tutti i giorni, anche quando andiamo al supermercato, non sappiamo davvero chi è l’altro. Però un conto è provare a non avere pregiudizi, paure e imbarazzi in astratto, ma quando varchi le porte del carcere all’inizio ti sembra di entrare in un altro mondo: devi lasciare la borsa, il cellulare, tutto. Le guardie ti raccomandano di non accettare nessuna richiesta da parte dei detenuti, come portare qualcosa all’esterno. Quindi all’inizio un po’ di timori e imbarazzi c’erano. Io personalmente avevo paura di non comportarmi nel modo corretto, che i detenuti si sentissero giudicati o di apparire distante. Ma quando siamo entrati loro stavano già ballando insieme agli altri cittadini, c’era un’atmosfera serena e calorosa e ci siamo rilassati, nessuno di noi ha pensato “questo è un carcerato, questo è un cittadino libero”, non si sono create differenze, abbiamo ballato e ci siamo riconosciuti uguali. Alla fine ci sentivamo tutti più vicini, anche fra di noi compagni di classe. Ci siamo messi in cerchio e ognuno ha raccontato le proprie sensazioni, anche i detenuti ci sono sembrati molto felici. È stata un’esperienza che è valsa mille ore di educazione civica, mi piacerebbe moltissimo poterla fare ancora».
Fondazione Cariplo e le Fondazioni di Comunità di Bergamo e Brescia insieme per la promozione culturale delle realtà locali