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L’esperienza vissuta con Renato Dulbecco, scomparso il 20 febbraio all’età di 98 anni, è stata per Fondazione Cariplo unica ed eccezionale da diversi punti di vista. Il professore, Premio Nobel per la medicina nel 1975, ha fatto parte del board della Fondazione dal dicembre 2000 a luglio 2006 (si dimise per la difficoltà a partecipare agli incontri, vivendo negli Stati Uniti), come membro della Commissione Centrale di Beneficenza, l’organo che detta le linee strategiche degli interventi filantropici. Con la sua partecipazione alle riunioni della Commissione ha sempre rappresentato un elemento di stimolo per i colleghi, sia dal punto di vista contenutistico che sul fronte metodologico.
Dal suo approccio e dal suo rigore è nato il grande Progetto NOBEL di Fondazione Cariplo, che in origine veniva chiamato proprio Progetto Dulbecco: fu lo stesso professore, in linea con il suo modo di essere, caratterizzato da sobrietà e modestia, a chiedere un’intitolazione meno personalizzata: nacque dunque il progetto N.O.B.EL - Network Operativo per la Biomedicina di Eccellenza in Lombardia. L’iniziativa, triennale, con un impegno di 12 milioni di euro da parte di Fondazione Cariplo, ha posto le basi per la creazione di un ambiente idoneo alla ricerca, in grado di stimolare la crescita professionale di giovani scienziati, che trarranno vantaggio dalla condivisione di sofisticate dotazioni di laboratorio e dalla collaborazione tra diversi gruppi di ricerca. Tali requisiti, infatti, appaiono strategici per produrre risultati competitivi a livello internazionale.
“Ricordiamo il professor Dulbecco come un grande uomo – ha dichiarato il Presidente di Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti – in grado di offrire contributi importanti non solo per ciò che riguarda gli ambiti di intervento della Fondazione legati alla ricerca scientifica, nei quali certamente eccelleva; mostrava grande interesse per l’ampia attività della nostra Fondazione, mantenendo una profonda attenzione verso le questioni che riguardavano i giovani, non solo i giovani ricercatori, ma più in generale i ragazzi; ricordiamo in modo particolare la sua sensibilità verso le problematiche legate al disagio giovanile. Di lui ci mancherà soprattutto la capacità di trasmettere, al contempo con autorevolezza e semplicità, non solo ai colleghi, ma anche ai collaboratori della Fondazione un modo di lavorare sempre attento ai bisogni della scienza e della ricerca, senza dimenticare che essa deve essere davvero al servizio dell’uomo.”