Lo sport per l’integrazione: la storia di Lavinia
Il “Bando Sport un’occasione per crescere insieme” in collaborazione con Regione Lombardia, promuove la pratica sportiva come strumento di crescita, integrazione, prevenzione del disagio sociale giovanile e diffusione della cultura della non violenza. È rivolto a bambini e giovani di età compresa tra i 6 e i 19 anni bambini e giovani con disabilità di età compresa tra i 6 e i 25 anni.
Dopo quattro edizioni del bando, quest’anno Fondazione Cariplo e Regione Lombardia hanno lanciato “È di nuovo sport”, un fondo di 3 milioni e 785 mila euro per sostenere associazioni (Asd), società (Ssd) sportive dilettantistiche senza scopo di lucro, comitati e delegazioni regionali costretti a fermarsi per il blocco delle attività durante l’emergenza sanitaria.
La Società Canottieri Lario Giuseppe Sinigaglia è un'associazione sportiva dilettantistica che nel 2006 ha avviato l’attività di Para-rowing, il canottaggio di coppia o di punta destinato ad atleti portatori di una disabilità.
Leonardo Bernasconi è il presidente dell’associazione: «Attualmente abbiamo con noi 20 atleti con diverse disabilità. Cinque di loro sono inseriti nelle attività pomeridiane con i normodotati. Nel corso degli anni hanno partecipato a gare regionali ma anche nazionali e internazionali. La maggior parte di loro sono ragazzi e ragazze con la sindrome di Down ma anche con altre disabilità mentali. Il più giovane ha 18 anni e il più vecchio 45 perché noi accogliamo tutti, non ne facciamo una questione di età. Con il Covid ovviamente è tutto difficile, abbiamo dovuto sospendere le attività e anche tutti i momenti ludici, le gite in barca, le feste. L’ultimo giorno prima del lockdown ho incontrato un papà, era tristissimo perché le famiglie fanno molto affidamento sullo sport per il benessere dei loro figli». Cristina, la mamma di Lavinia, una ragazza di 26 anni con la sindrome di Down, è una di loro: «Lavinia frequenta la “Canottieri Lario” dal 2013, noi abitiamo vicini al lago e lei vedeva le barche e mi diceva che voleva imparare a vogare. Io ero perplessa perché mia figlia è alta 1,45 ed è molto esile, mi sembrava uno sport inadatto a lei. Ma Lavinia insisteva e alla fine siamo andate, ero convinta che non se ne sarebbe fatto niente invece l’istruttore le ha detto “facciamo una prova”. Alla fine della prova ci ha detto che per lui si poteva fare e Lavinia era felicissima. All’epoca era l’unica ragazza, l’hanno subito inserita in equipaggio con i maschi e uno di loro era alto 1.80! A vederla faceva una tenerezza, lei così piccola. Ma non si è spaventata, ha legato subito con tutti ed è stata accolta benissimo. Aveva 19 anni ma presto ha iniziato a partecipare alle trasferte, e senza di me. Sono momenti importantissimi, in cui i ragazzi partono con gli allenatori senza genitori, fanno gruppo. Nel tempo si sono aggiunte altre ragazze e la solidarietà del team è aumentata. Per chi non ha un figlio con disabilità è difficile capire la capacità di organizzazione, il senso di responsabilità e di autonomia e la facilità a socializzare che i ragazzi acquisiscono con lo sport di squadra. È qualcosa che poi ha un effetto in tutti gli aspetti della loro vita, anche nel lavoro. Normalmente Lavinia lavora part time e si dedica tre volte alla settimana al canottaggio. Ma in questa fase di lockdown è molto triste perché non può fare nulla».