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Giornata Mondiale della Salute Mentale: la storia di Margò

Il 10 ottobre è la Giornata mondiale della Salute Mentale, un appuntamento dedicato a combattere lo stigma che accompagna le persone che soffrono di disagio psichico e a coinvolgere le comunità sul tema della salute mentale. Quest’anno il claim della campagna è Move for mental’s health, let’s invest”. Una vera e propria chiamata che ha lo scopo di sensibilizzare governi e istituzioni sulla necessità di investire maggiori risorse in questo campo, fortemente impattato dall’emergenza sanitaria, che non solo ha impedito l’accesso ai servizi di cura ma che ha generato e continuerà a generare nel prossimo futuro conseguenze importanti sulla salute mentale delle persone in tutto il mondo.
Fondazione Cariplo è impegnata attivamente all’interno del Bando Welfare di Comunità e Innovazione Sociale nella promozione della salute mentale attraverso il sostegno di due progetti che favoriscono percorsi di inserimento lavorativo, supporto abitativo e inclusione sociale. E che affiancano le persone con disagio psichico nella costruzione del proprio progetto di vita, valorizzando le reti sociali naturali e trasformando loro stesse in risorsa per la comunità attraverso percorsi sempre meno “sanitari”.
In particolare, nel territorio di Mantova e Brescia, un territorio fortemente colpito dall’emergenza, sostiene Recovery Net, un progetto (che accoglie un partenariato di soggetti pubblici e privati) pensato per persone con disturbi mentali gravi: utenti inseriti in strutture residenziali e nelle REMS nei territori della provincia di Brescia e Mantova e utenti della fascia giovane-adulta.
Un’area in cui anche prima della pandemia, si registrava negli ultimi anni un incremento significativo delle prestazioni dei servizi di salute mentale. Tra le azioni più importanti del progetto, l’attivazione di tre recovery co-lab, a Brescia, a Mantova e alla REMS di Castiglione delle Stiviere: spazi fisici e progettuali, aperti alla comunità, che favoriscono l’integrazione delle risorse e delle attività degli attori per costruire una comunità locale per la salute mentale (servizi sanitari e sociali, pubblici e del privato-sociale, medici di medicina generale MMG, associazionismo, reti informali)  e di workshop aperti ad utenti ed operatori per sviluppare insieme competenze da spendere in percorsi di cura ed inclusione sociale co-prodotti. Recovery.net è un progetto di psichiatria di comunità: a differenza della psichiatria istituzionale promuove interventi nella comunità e coinvolge le risorse del territorio, al di fuori dall'istituzione psichiatrica.
Nel corso di 2 anni ha coinvolto 40.255 persone e preso in carico 354 beneficiari.

A Milano Fondazione Cariplo sostiene il progetto aMIcittà (che riunisce Cooperativa sociale lotta contro l’Emarginazione, ASST Grande Ospedale Metropolitano di Niguarda, Cooperativa Sociale Diapason, Cooperativa Sociale Aromi a Tutto Campo, Associazione Contatto, Comune di Milano) e che opera sull’integrazione tra sistema di cura sanitario e sistema di cura sociale, sulle risorse dei beneficiari e delle comunità in cui vivono. aMIcittà ha raggiunto 1000 cittadini in due anni e coinvolto 32 realtà. Tra le varie azioni del progetto c’è quella portata avanti dagli ESP, Esperti in Supporto tra Pari, ossia persone che hanno elaborato un proprio vissuto di difficoltà psicologiche personali come utente psichiatrico e che mettono a disposizione le proprie esperienze di vita con l’intento di essere d’aiuto all’interno di una relazione paritaria. Tra le varie iniziative proposte messe in atto in questa fase di crisi sanitaria, c’è Trova la via..oltre la pandemia, un percorso psico-educativo rivolto alla cittadinanza sui disturbi derivanti dal lockdown: con l’obiettivo di sensibilizzare sul tema della salute mentale e far conoscere i luoghi dove questa viene presa in carico.  

La storia di Margò

Il 14 ottobre il Centro Psicosociale di via Cherasco apre le sue porte alla cittadinanza per un percorso esperienziale sulla salute mentale. In 8 tappe, svolgendo attività pratiche, i partecipanti potranno “viaggiare” all’interno del disagio mentale. Una delle postazioni, è affidata a Margò Volo, attrice ed Esp del progetto amiCittà. Sarà la dottoressa “Elettra Shokka”, nel ruolo comico e dissacrante di una psichiatra che accoglierà le persone con finte anamnesi e inventando patologie strane.

Margò Volo ha voluto raccontare la sua storia per combattere lo stigma del disagio psichico. 

«Sono nata il 20 giugno in un giorno dispari, l’anno non importa. Recito sul palcoscenico da quando ho 18 anni, un mestiere in cui sei costantemente sotto pressione. Prima della malattia, ci sono stati diversi segnali che forse ho sottovalutato: durante agli anni in cui studiavo alla Civica Scuola d’Arte Drammatica del Piccolo Teatro di Milano, dove mi sono diplomata, ho perso un fratello, avevo 20 anni, lui 22. Ho cercato di andare avanti senza farmi aiutare da nessuno. Poi sono entrata in un gruppo di teatro importante, ma quando sono finiti i fondi ci hanno mandato a casa dall’oggi al domani. Lì ho avuto il primo crollo, mi sono rivolta a uno psicoterapeuta per qualche mese, poi ho pensato che ce l’avrei fatta da sola. Ho avuto un figlio con un musicista, mi sono separata, mi sono occupata di mia madre con l’Alzheimer per 10 anni. Ho vissuto anni di estrema fatica, e non stavo bene. Ma andavo avanti, e in un certo senso mi fregava proprio la mia professione, perché né io né le persone che mi stavano a fianco capivano quello che mi stava succedendo. Avevo continui sbalzi di umore, ridevo, piangevo, ma gli amici, i colleghi, io stessa pensavano: sei un’artista è normale. Anche perché a volte nel nostro mondo ciò che sembra folle non lo è: uno di noi ha un’idea assurda e qualche mese dopo si trasforma in un progetto concreto e magari anche redditizio.

Poi nel 2015 il disagio si è trasformato in una vera e propria depressione. Andare in scena è diventato impossibile, ho iniziato a perdere ingaggi e il mio lavoro è feroce, se non ce la fai tempo qualche mese e sei fuori. Non potevo più insegnare, fare spettacoli, e non potevo certo mettermi in aspettativa, non è una professione in cui esiste “l’aspettativa”. E con il lavoro ho perso la casa, mi hanno sfrattato. Ho vissuto un anno con la valigia, ospite di amici e amiche che mi hanno aiutato moltissimo, ma non avere un posto proprio è un’esperienza devastante e io e a quel punto sono crollata. Descrivere il malessere è difficile: posso dire che la mattina mi svegliavo alle 11 e avevo tremori fino alle 13, alzarsi dal letto era diventato impossibile. Era una condizione incompatibile con la mia professione ma anche con la vita stessa. La mia fortuna è stata un incontro, un professore di filosofia che mi ha ospitato a casa sua per un anno, una persona meravigliosa che non ha mai chiesto niente in cambio e in più la consapevolezza che da sola non ce l’avrei mai fatta: mi sono rivolta ai servizi, al CPS di Via Cherasco. Mi hanno aiutato fin da subito, con una cura farmacologica, naturalmente, ma dandomi fiducia, facendomi capire che avevo gli strumenti per rinascere. Ci sono state due frasi chiave, frasi che hanno attivato la mia rinascita. La dirigente del CPS un giorno mi ha detto: «Margò, non si preoccupi, le capacità non si perdono, lei tornerà sul palcoscenico». E il mio psicoterapeuta, quando gli ho chiesto se dalla malattia sarei guarita mi ha risposto: «prima di guarire, bisogna imparare a starci dentro. Oltre alla nostra malattia, siamo apertura a tutto ciò che arriva».

Piano piano ho ricominciato a lavorare: un piccolo cortometraggio, una pubblicità, un ingaggio come actor coach. Poi un giorno il mio psicoterapeuta mi ha chiesto: «Margò ma lei che è così creativa perché non fa teatro per noi?» e mi ha proposto un corso di mediazione teatrale per gli operatori del CPS. È stato bellissimo, abbiamo lavorato su empatia e assertività, ed ero io che per la prima volta “insegnavo” a loro. Quando è partito aMIcittà, il progetto finanziato da Fondazione Cariplo all’interno della quarta edizione del bando Welfare di Comunità, la mia psichiatria mi ha proposto come ESP (utente esperta) e ho iniziato a partecipare alla riunione di risorse sul territorio. Mi serve tantissimo essere una ESP perché secondo me la vera guarigione nel disagio mentale avviene quando tu inizi ad aiutare gli altri, il cuore si apre, la vita ti apre, ti sedimenti e ti rinforzi per aiutare gli altri. Nel salto da utenti di psichiatria a utenti esperti è come si fissasse la vera guarigione.

Nello specifico, io partecipo a un appuntamento fisso al Gruppo Pranzo la domenica. Non ci siamo fermati nemmeno durante la pandemia, aMicittà ha cambiato modalità: ci hanno dotato di tablet e abbiamo pranzato insieme virtualmente con i beneficiari ogni domenica. L’ESP è una figura fondamentale perché i beneficiari spesso si confidano con noi in un modo in cui non riescono a fare con lo psichiatra perché sentono di poter parlare di tutto, non siamo figure istituzionali. Nel periodo in cui stavo male e avevo tremori dentro di me avevo individuato quella sensazione come “un senso di morte” ma non l’ho mai detto a nessuno. Un giorno è venuto da me un beneficiario e mi ha detto: io ho un senso di morte. Gli ho risposto che capivo benissimo quello che provava, non è che solo lo capivo, io lo sentivo. Noi ESP li sosteniamo senza grandi discorsi, sospendiamo il giudizio: come sei vai bene, se hai una scarpa e una ciabatta, se sei pettinato o no, noi accogliamo.

Nel 2017 sono tornata in scena, ho fatto un testo “Mamme adottive disperate” che ha fatto sold out per tre anni, ora continuo a recitare e insegno a Borgo Teatrale. Essere ESP mi aiuta anche nel mio lavoro e viceversa. Io credo che aMIcittà sia un enorme regalo per il territorio perché cambia il rapporto tra disagio e territorio e quindi combatte lo stigma. Quello a cui mirare è che ogni utente aiutato diventi un utente esperto, perché il fatto di aiutare bilancia l’armonia della vita.

Molte persone si fanno aiutare in privato però manca la dimensione sociale che secondo me è quella che fa guarire davvero. Sono grata al mio disagio perché ho viaggiato dentro me stessa in un modo profondo e dantesco ed è vero che ne ho sofferto moltissimo ma esserne uscita mi ha dato una forza e una resilienza che non avrei mai pensato di avere: a un certo punto della mia vita vista da fuori ero una “povera pazza” e adesso lavoro, ho una bella casa arredata e sono in grado di aiutare altre persone».