Contrasto alle nuove povertà: le storie
L'emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 e le misure di contenimento del contagio hanno impattato in maniera drammatica sull’economia italiana e gli effetti sulla popolazione più fragile si sono avvertiti fin dalle prime settimane: si teme che la popolazione in povertà possa raggiungere la quota dei 10 milioni, rispetto ai 4,6 milioni stimati dall’Istat nel 2019 e alcune fasce di cittadinanza sono in evidente crisi già in questi mesi. La riprogrammazione di Fondazione Cariplo per il 2020 ha individuato tra gli obiettivi prioritari attorno ai quali riorientare le sue risorse e il suo impegno il contrasto alle nuove povertà: per questo Fondazione Cariplo e Banco dell’energia onlus, realtà non profit promossa da A2A, Fondazione ASM e Fondazione AEM, con la terza edizione del Bando Doniamo Energia mettono a disposizione 2 milioni di euro per sostenere progetti e iniziative a tutela delle famiglie a rischio povertà, in particolare a seguito dell’emergenza Covid-19.
Doniamo Energia nasce nel 2016 per sostenere interventi a favore della popolazione vulnerabile: non riuscire a pagare una bolletta è, per molte famiglie, un primo segnale di difficoltà economica e poter intercettare precocemente quelle famiglie, orientarle e sostenerle per permettere loro di ripartire è, fin dai primi passi della collaborazione tra Fondazione Cariplo e Banco dell’Energia, un obiettivo condiviso con le realtà territoriali che hanno presentato i progetti.
Le famiglie aiutate finora...
Nelle due precedenti edizioni, le 31 progettualità selezionate hanno attivato un percorso personalizzato per 1.779 nuclei famigliari grazie al supporto di 362 enti coinvolti sul territorio lombardo: i servizi e le attività realizzate dalle reti territoriali riguardano il sostegno per il pagamento di bollette per forniture energetiche, azioni di orientamento al lavoro e ai servizi territoriali e, per le situazioni più fragili, un vero e proprio accompagnamento e di messa in campo di strumenti come le borse lavoro e tirocini.
Secondo l’analisi realizzata da Fondazione punto.sud sulle famiglie intercettate dai 15 progetti sostenuti dalla prima edizione del bando, emerge come “vulnerabile” una popolazione in cui è alta la percentuale di nuclei famigliari che vivono in una casa in affitto (37%), in casa popolare (31%) e in una casa di proprietà (17,5%). Per quel che riguarda il titolo di studio, i dati fanno emergere che il 45% delle persone beneficiarie ha conseguito un diploma o una laurea.
Dal rapporto di monitoraggio si evince, inoltre, che nel 71% dei casi le condizioni delle famiglie sono migliorate rispetto a quelle di partenza, in particolare, per quel che riguarda la situazione debitoria e reddituale, grazie a interventi che hanno previsto, nella maggior parte dei casi, sia azioni di sollievo immediato (sostegni economici), che di orientamento e di vera e propria riattivazione.
Le storie dietro ai numeri
Contiamo Energie Positive è uno dei progetti sostenuti dal bando ed è attivo nel territorio del Bollatese. Salvatore Doria è l’educatore finanziario e il coordinatore del progetto, che nasce dalla collaborazione delle cooperative Intrecci, Koiné, Spazio Giovani con il Centro di promozione e solidarietà di Bollate. Contiamo Energie Positive promuove percorsi di autonomia dedicati alle persone e alle famiglie vulnerabili, con azioni di educazione finanziaria, contributi economici, inclusione lavorativa, rete sociale: «Il nostro obiettivo è fornire aiuto a quella fascia di vulnerabilità, rappresentata dalla vecchia classe media impoverita: persone e famiglie che hanno perso il lavoro e non riescono più a pagare mutui, affitti, bollette, o situazioni di forte indebitamento, in ascesa negli ultimi anni, nelle quali sono stati accesi finanziamenti e mutui non ragionati e qui entra in gioco l’educazione finanziaria. Ma anche quando decidiamo di dare il contributo attiviamo sempre un percorso di accompagnamento in questo senso. La maggior parte delle persone che si rivolgono a noi sono famiglie, ma il Covid sta portando anche tanti single, persone che prima della pandemia riuscivano a stare a galla e ora non riescono più. Si è rivolta a noi per esempio una ragazza che faceva la commessa part time, durante il lockdown il negozio ha chiuso ma lei non ha percepito la cassa integrazione. L’abbiamo aiutata con la tessera dell’emporio della solidarietà di Garbagnate, che è una delle nostre azioni di aiuto, un punto di distribuzione al dettaglio completamente gratuito, realizzato per sostenere le famiglie in difficoltà attraverso l’aiuto alimentare e l’accompagnamento relazionale. Il Covid purtroppo non solo ha generato nuove situazioni di povertà ma ha anche stroncato persone che si stavano risollevando. Il percorso insieme prevede che, dopo gli incontri e la compilazione di una scheda, noi elaboriamo delle proposte di aiuto modulate. Se la famiglia o la persona le accetta, firma un patto di inclusione impegnandosi a seguire il progetto e noi ci impegniamo a mettere in campo le azioni. Il patto non è dogma, nel corso dei mesi possiamo modificarlo se la situazione lo richiede. Il percorso ha una durata di 6/8 mesi ci vediamo almeno una volta al mese, se include l’educazione finanziaria ci vediamo almeno una volta a settimana».
Salvatore ci tiene a sottolineare un aspetto del progetto: «il percorso prevede anche un percorso di volontariato che rappresenta una restituzione alla comunità in ottica generativa. Il principio è quello del “sei stato aiutato, puoi aiutare anche tu” ma non solo: rimettersi in gioco in una relazione di reciproco aiuto riattiva i legami di comunità, allarga a cerchia delle conoscenze. Ci puntiamo molto perché abbiamo visto che funziona».
Ha funzionato molto bene nel caso di Silvia, un nome di fantasia «perché anche se a chiedere non ci sarebbe nulla da vergognarsi, preferisco rimanere anonima», 34 anni e due bimbi di 3 e 2 anni.
«Ci tengo molto a sottolineare l’aspetto del “ridare” perché ha due vantaggi: quello educativo, e ti consente e ti sprona a mantenere i contatti sociali, che sono fondamentali per gestire le situazioni complicate, se uno si chiude in sé stesso non ne esce, perlomeno per me è stato così».
I problemi di Silvia sono iniziati due anni fa, subito dopo aver partorito la sua secondogenita: «sette giorni dopo la nascita della mia bambina capisco che c’è qualcosa che non va in mia madre. Diceva cose strane, non era più la stessa. Io e mio marito l’abbiamo portata in ospedale e dopo un mese di accertamenti i medici ci comunicano che ha avuto una serie di ischemie, l’ultima delle quali ha dato esiti importanti. Si dimenticava di mangiare, di lavarsi.
I miei genitori sono divorziati e mia mamma non aveva nessuno che poteva occuparsi di lei, tranne me. Da quel momento la mia vita è stata un susseguirsi di impegni e fatiche. Avevo due bambini piccolissimi, un lavoro-sono odontoiatra-e una madre da accudire, in tutte le pause pranzo. Farle la spesa, lavarla, sistemare casa. La sua e la mia. Ma poi lei è peggiorata, abbiamo capito che non avrebbe più potuto vivere da sola e abbiamo deciso di cercare una RSA: è un posto bello, dove lei può essere seguita nel migliore dei modi, ma costa 2100 al mese, una cifra importante per una famiglia come noi, che non ha niente da parte e vive del proprio lavoro. Non avevo mai pensato di poter chiedere aiuto a qualcuno, ma tramite le assistenti sociali del mio Comune ho conosciuto il progetto Contiamo Energie Positive, ho incontrato i referenti. Abbiamo stabilito insieme che mi avrebbero pagato la piscina dei bambini, 600 euro l’anno. Sembra poco, ma per me è stato molto perché ha significato non modificare la vita dei miei figli, non uscire dal giro delle relazioni: le mamme della piscina, gli altri bambini, le consuetudini.
E poi è stato importante interfacciarsi con persone che, in quel momento della mia vita mi hanno detto: “non preoccuparti, quello che possiamo fare lo faremo”. Intanto, sempre all’interno del percorso, seguivo i corsi di educazione finanziaria perché imparare a gestire i propri fondi, oltre a essere indispensabile per la gestione del bilancio famigliare, significa imparare a non pesare sulla comunità. Mio marito faceva volontariato in uno spazio giochi, una volta alla settimana. All’inizio, quando ce lo avevano proposto, ho pensato “per una volta che ci aiutano ci chiedono qualcosa in cambio” invece ho capito che restituire dedicando un po’ del proprio tempo è un modo per essere davvero parte della comunità».
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