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La fata turchina protegge Pinocchio ma non me!

Accompagnare con cura e rispetto colui che è al termine della propria vita è sempre una sfida che vale la pena accettare se il paziente e i suoi familiari sono aiutati a superare l’isolamento sociale e lo smarrimento della propria identità personale conseguente a un percorso di malattia spesso lungo e doloroso. Interventi di “medicina integrata” (pet therapy, musicoterapia e arteterapia) che considerano il malato in tutta la sua complessità di persona, si sono dimostrati un ottimo supporto alle cure palliative e per questo vengono da anni praticati presso l’Hospice “Il Tulipano” dell’Ospedale Niguarda di Milano i cui progetti condividiamo e sosteniamoQui vorremmo in particolare trattare dell’arteterapia, presentandovi il caso di Attilia, delle sue paure e dei suoi bisogni inespressi, e di come la dottoressa Cristina Bazzan, la professionista che per due mezze giornate a settimana tiene sedute di arteterapia nel soggiorno o nelle camere dell’Hospice sia riuscita a portarli alla luce e a “curarli”. Il procedimento che Cristina segue durante le sedute è molto semplice: in un ambiente protetto e sereno, dopo avere fatto scegliere al partecipante una tematica e il materiale artistico a lui più gradito (colori, matite, argilla), lo aiuta a realizzare, individualmente o con il suo supporto, un’opera con cui esprimere a livello simbolico pensieri e sentimenti. Riconoscerli e rielaborarli gli consentirà di attivare un processo di trasformazione interiore e di affrontare un momento spesso difficile del suo viaggio personale.

Ecco il diario di bordo di Cristina e la storia di Attilia.

LA FATA TURCHINA PROTEGGE PINOCCHIO MA NON ME!

Attilia ha gli occhi chiusi, mentre mi avvicino senza fare rumore li apre e mi guarda, mi chiede chi sono e solo dopo averle detto il mio nome ricorda che il giorno prima ci eravamo incontrate in soggiorno  per l’attività collettiva di arteterapia. Le chiedo se desidera ripetere l’esperienza anche oggi, mi risponde di sì ma solo dopo aver riposato ancora un po’. Ritorno dopo un’ora e la trovo sveglia mentre esprime a Marco, l’infermiere che le somministra la terapia, il desiderio di stare in compagnia con altre persone, la proposta di lavorare individualmente nella stanza la fa diventare sospettosa, mi chiede più volte se arriveranno altre persone a lavorare con lei fino a chiedermi se l’intervento individuale è sinonimo di qualche aggravamento della sua situazione. Si tranquillizza solo dopo averle spiegato l’organizzazione degli incontri. Sceglie il foglio nero dicendo che in questi giorni si sente davvero giù di morale e non riesce a spiegarsi il motivo, proviamo a fare un’indagine delle possibili cause ma dopo aver considerato che la famiglia e i figli stanno bene interrompe la conversazione dicendo “sarà solo un momento, passerà, meglio lavorare”.

Le chiedo se ricorda il lavoro fatto il giorno precedente, la Fata Turchina, rimane in silenzio per un attimo e poi mi risponde “La fata turchina protegge pinocchio ma non me” le chiedo se sente di aver bisogno di essere protetta, annuisce con la testa ma quando cerco di approfondire per capire da che cosa non mi risponde e mi chiede informazioni sui materiali artistici da utilizzare.

La fata Turchina
 

Sceglie le tempere per l’intensità del colore quando viene steso sul foglio, utilizza il rosso e il bianco creando direttamente sul foglio una mescolanza di colore nelle diverse tonalità del rosa. Mi chiede se mi sono accorta di ciò che disegna “hai visto! come la volta scorsa disegno questi segni che ricordano quegli animali”, quello che appare sul foglio la disturba un po’, lo sguardo diventa cupo l’espressione del viso contratta, prosegue con il tratto e ancora la sua mano traccia un segno curvo sul foglio, si ferma a guardarlo e dopo una breve pausa identifica nel segno tracciato la forma di un serpente, ne vede la faccia, gli occhi e la bocca che mette in evidenza con il colore rosso, “eccolo ha la bocca spalancata, sembra che mi voglia mangiare ma io non mi faccio mangiare” continua a tracciare, questa volta con foga e decisione, il segno dalla parte opposta della testa esprimendo la volontà di dare a quell’animale in pasto la sua coda, conclude il tratto dicendo di essere una persona cattiva, le rispondo che quello che ho colto non mi sembrava cattiveria ma rabbia, si ferma nuovamente a fissare il foglio e con un fil di voce quasi impercettibile pronuncia “si! non è giusto, non è giusto” le chiedo che cosa non è giusto, mi dice di sentire che la sua condizione peggiora, si sveglia alla mattina con la testa confusa, spesso non sà dove si trova e oggi a differenza di altri giorni fatica a respirare. Riconosco in Attilia alcuni gesti e movimenti che ho visto il giorno precedente, ai quali non avevo dato particolare importanza, perché la sensazione di mancanza d’aria a causa della temperatura elevata era percepita anche  da altre persone. Riprende il lavoro e nuovamente traccia dei segni nei quali riconosce e nomina lo stesso animale, il serpente, prosegue cercando di definirne meglio la testa e nei pochi segni tracciati con il pennello intravede una mano che si posa sul collo e sorregge la testa, le sembra una posizione di sfida, “guarda che espressione arrogante, supponente” Si ferma ancora e insieme guardiamo il lavoro, mi chiede che cosa penso di questi animali, in questa richiesta colgo l’esigenza di Attilia di parlare di ciò che le sta accadendo e le rispondo con la parola “pericolo”, annuisce dicendomi che questi serpenti sono davvero un grande pericolo. Mi chiede di aiutarla a capire se ha disegnato un maschio o una femmina, facciamo delle considerazioni sull’uso comune di alcuni colori arrivando alla conclusione, per Attilia già sospettata, che quel serpente fosse donna.

Serpente

Analizziamo perché e per chi quella donna dovrebbe essere un pericolo, Attilia esclude il marito già morto e il figlio, arrivando alla conclusione sussurrata a bassa voce quasi non volesse farsi sentire da nessuno “quella è la morte, è qui per me, è sopra la testa, non vorrei farmi prendere, anche se ormai sono vecchia avrei voluto arrivare a novant’anni”, si mette a piangere scusandosi per le lacrime… rimaniamo in silenzio per un po’, le chiedo se è spaventata, preoccupata di ciò che sta accadendo, mi risponde che non ha paura, ma è tanto preoccupata di sentire dolore, la sua preoccupazione più grande è la sofferenza fisica, parliamo della possibilità di comunicare ai medici e gli infermieri questi suoi pensieri legati al dolore, annuisce e mi prende la mano, dice di aver capito perché sono andata da lei, per farle dire certe cose “io ho capito, sei venuta per farmi una terapia, per farmi dire certe cose, ma sono contenta di averle dette”.

Seduta individuale
 

Il caso di Attilia è uno dei tanti che Cristina ha seguito con sensibilità e intelligenza. Altri malati e familiari hanno lasciato all’Hospice immagini e parole in cui hanno espresso i propri ricordi, i propri sogni e le proprie emozioni: un “segno” del loro passaggio umano. Ci è sembrato bello, in occasione del trentennio della nostra Associazione, raccogliere in un calendario i disegni di pazienti e familiari  eseguiti durante le sedute di arteterapia e intitolarlo “Appunti di viaggio”:  per sfogliare il calendario online CLICCA QUI .