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Riparte l’attività 2018 con "Storie di persone. Dal 1816"

Fondazione Cariplo presenta le attività che la vedranno impegnata nel 2018 e il rinnovato racconto di una storia che affonda le sue radici nel 1816. Dagli archivi storici infatti emerge la notizia che nel 1816, più di 2 secoli fa, esisteva già un organismo filantropico, che nel 1818, cioè, esattamente 200 anni fa, prese il nome di Commissione Centrale di Beneficenza, lo stesso appellativo con cui oggi viene chiamato l’organo di indirizzo della Fondazione.   

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Non solo numeri, ma storie di persone, quelle che ogni anno sono protagoniste e beneficiano di oltre 1000 progetti - che la Fondazione nel 2018 sostiene con un budget di oltre 184 milioni di euro - che sono state al centro del 22  febbraio,  organizzato in collaborazione con il Piccolo di Milano, e al quale hanno preso parte il Presidente Giuseppe Guzzetti, il Direttore Generale Sergio Urbani, il professor Francesco Zurlo del Politecnico di Milano, e Barbara Costa, direttrice dell’Archivio Storico di Intesa Sanpaolo 

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Il racconto dell’attività filantropica 2018 si fonde con la presentazione del lungo percorso che ha portato ad un nuovo brand della Fondazione e alla scoperta di una storia che parte da lontanissimo. 

Si apre un anno importante, di fatto l’ultimo anno completo di gestione da parte degli attuali organi in carica, – spiega Giuseppe Guzzetti presidente di Fondazione Cariplo -  un anno con numerose attività ed impegni. Apriamo quest’anno in un modo nuovo, recuperando in modo significativo la nostra tradizione, anche con la presentazione di un nuovo logo, ricordando, dopo un percorso durato più di un anno, che quello che facciamo oggi è la trasposizione professionale e moderna di valori che affondando le proprie radici oltre 200 anni fa. Non possiamo e non dobbiamo dimenticarci chi siamo e da dove veniamo. Io guardo, ancora e sempre, avanti. Guardo a quelle migliaia di bambini che non hanno un'alimentazione sufficiente, sono addirittura milioni in tutta Italia quelli che vivono in un contesto di povertà educativa e culturale. Penso ai giovani senza lavoro, a quelli che si sono persi, sfiduciati, che non studiano e non cercano più un'occupazione. Penso a coloro che invece hanno una grande voglia di mettere la loro intraprendenza e competenza al servizio dell'innovazione e della ricerca scientifica. Penso alle famiglie che cercano casa, alle periferie e al loro grande potenziale di rigenerazione, delle relazioni oltre che delle infrastrutture. La cultura: questo è l'anno del Patrimonio Culturale Europeo, quanto abbiamo fatto per valorizzare il nostro patrimonio e quanto ancora abbiamo da fare; non sarà mai finita, perché il nostro patrimonio non è fatto solo di monumenti ed opere d'arte, ma di individui, donne, uomini, ragazzi, bambini e anziani che come patrimonio più importante hanno quello di sentirsi parte e partecipi di un processo di cittadinanza che ormai va oltre i confini nazionali. Educazione e cittadinanza: due parole chiave anche per la salvaguardia del nostro patrimonio ambientale. Penso alle persone che vivono ai margini, e che solo le comunità vive possono tenere ancorate alla vita. Penso agli anziani. Saranno, anzi dico saremo, sempre di più; ma anche in questo caso non dobbiamo avere paura: le comunità e la ricerca scientifica, oltre che la programmazione nelle politiche sociali, sono in grado di far trascorrere la vecchiaia in modo dignitoso, perfino utile. Gli anziani, ma più in generale tutte le persone, vanno viste come risorse. Se le vediamo come un problema non possiamo guardare avanti, ma nemmeno indietro.  Guardare costantemente al quotidiano, vivendo alla giornata, e non avere prospettive, in ogni campo, è la cosa peggiore. Situazioni molto simili a quel contesto di oltre 200 anni fa, in cui muoveva i primi passi la Commissione centrale di beneficenza, che raccoglieva fondi per aiutare la popolazione bisognosa. Ricordare la storia da un lato significa che i problemi sono ricorrenti, dall’altro che c’è sempre stato chi se n’è fatto carico, c’è ancora e sempre ci sarà”.  

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Il presidente Guzzetti sul palco con Dario Bolis, direttore della comunicazione 

Il percorso di rebranding  

Nel giugno del 2016 Fondazione Cariplo ha avviato una profonda attività di analisi che ha portato ad una nuova rappresentazione identitaria, un nuovo brand. Si è trattato di un percorso inusuale, che è partito dal basso, con l’ascolto di persone che dall’esterno hanno offerto, attraverso il loro punto di vista, un mosaico di percezioni e di suggerimenti. E’ stata attivata una collaborazione con il Politecnico di Milano: il professor Francesco Zurlo e i suoi giovani collaboratori hanno condotto il processo, che ha visto il coinvolgimento di più di 120 tra stakeholder, dipendenti e organi della Fondazione. L’obiettivo era di offrire una chiave di racconto più in linea con quello che di fatto oggi la Fondazione Cariplo è: vicina alle persone con la propria attività filantropica quotidiana.  

Al termine del percorso di analisi, a giugno 2017, sono stati coinvolti alcuni giovani studenti di design ai quali è stato chiesto di proporre suggestioni e ipotesi di un’identità visiva che rispondesse da un lato alle necessità istituzionali della fondazione, dall’altro di poter offrire modalità di racconto con nuovi linguaggi comunicativi, a partire dal brand. Parallelamente è stata incaricata la società Inarea, come advisor tecnico, in affiancamento al gruppo di lavoro del Politecnico, con il compito di raffinare le proposte dei giovani creativi per dare poi struttura e organizzazione al sistema di identità della Fondazione 

La volontà era di far interpretare la modernità e l’istituzionalità a coloro i quali guardano oltre il presente: i giovani, per definizione. Nell’autunno 2017, le proposte sono state condivise a vari livelli, all’interno di Fondazione Cariplo, fino alla decisione in Consiglio di Amministrazione. Tutte le ipotesi che sono state presentate si sono concentrate sullo sviluppo del monogramma, quasi ad identificare un modo semplice quanto efficace per individuare un tratto distintivo, oltre che grafico: un nome ed un cognome, come si usa fare anche tra le persone. L’anello di congiunzione tra la modernità, l’istituzionalità e la tradizione è il motto in latino che campeggia in evidenza: TUTE SERVARE, MUNIFICE DONARE. Conservare con cura per donare con generosità, che rappresenta perfettamente e sintetizza quello che la Fondazione Cariplo fa: conserva un patrimonio, lo mette a reddito, e ne trae le risorse economiche per svolgere l’attività filantropica, in modo moderno e professionale. A tutto ciò è stata collegata un’altra chiave di lettura che recupera le vere radici della Fondazione, che non stanno nella Banca, com’è l’opinione comune, ma in un organismo che già operava a Milano nel 1816, e che di lì a poco, proprio nel 1818, cioè esattamente 200 anni fa, si sarebbe chiamata Commissione Centrale di Beneficenza. Fu questo organismo che, successivamente, nel 1823 fece nascere la Cassa di Risparmio delle Province Lombarde. Quasi a dire che… è nata prima la Fondazione che la Banca, l’attività filantropica piuttosto che quella di sportello. Un modo semplice per rovesciare la percezione di quello che oggi fa la Fondazione, che affonda le sue radici in un contesto fatto di povertà, proprio come oggi. 

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TUTE SERVARE MUNIFICE DONARE 

Le origini della Commissione Centrale di Beneficenza, nata col nome di “Commissione centrale per dar lavoro ai poveri” risalgono al 1816, il tristemente noto “anno senza estate” (o “senza sole”). Nel 1815 l’esplosione in Indonesia del vulcano Tambora innescò un disastro ambientale dalle ripercussioni globali che ebbe la sua massima portata nel biennio 1816-1817, quando il crollo generalizzato dei raccolti provocò una enorme carestia: si trattò, in un certo senso, della prima emergenza “globale” con cui la storia contemporanea venne in contatto, forse l’ultima grande carestia che colpì l’intera Europa. 

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Come reagire a un contesto tanto catastrofico, dalle ripercussioni sociali potenzialmente devastanti?  Le modalità di intervento e le scelte di principio - solidarietà sociale, sussidiarietà fra pubblico e privato, autonomia decisionale dell’ente - alle quali nel 1816 si ispirarono il governo austriaco, da poco re-insediato, e soprattutto il patriziato lombardo “illuminato”, possono fornire anche oggi elementi validi per una riflessione sulle energie politiche, economiche e culturali che si sprigionarono all’interno della società per reagire a questa straordinaria emergenza. 

I progetti elaborati dalla Commissione in quel lontano 1816 avevano come obiettivo primario quello di creare posti di lavoro (e quindi mezzi di sostentamento) destinati a coloro che la crisi aveva portato all’indigenza. In un biennio si concessero mutui senza interesse ai comuni di tutto il territorio lombardo per promuovere opere pubbliche che permisero di dare lavoro oltre 16.000 persone; si elargirono inoltre ai comuni i fondi per edificare nuove case di lavoro volontario (le cosiddette case di ricovero e d’industria), mentre solamente a beneficio dei cosiddetti “inabili al lavoro” venivano progettate delle case di ricovero con il precipuo obiettivo di limitare il fenomeno dell’accattonaggio. 

Attraverso la Cassa di Risparmio, i cui utili, a partire dal 1860, vennero in larga parte ‘restituiti’ in beneficenza al territorio di riferimento, il circuito virtuoso risparmio/beneficenza trovò un formidabile slancio: le erogazioni, elargite ininterrottamente per un lunghissimo lasso di tempo, hanno infatti contribuito in modo rilevante alla creazione di un complesso sistema assistenziale che ha inciso in modo profondo e duraturo su alcune infrastrutture portanti della società lombarda (ospedali, asili, strutture assistenziali per i poveri in primis). 

Alcuni esempi: del 1903 è la costituzione del Fondo ospedali che di fatto finanziò una complessa ristrutturazione del sistema ospedaliero lombardo attraverso uno stanziamento di ben nove milioni di lire di allora, incrementato di altri 25 milioni per il quadriennio 1911-1914 “per la soluzione effettiva della questione ospedaliera”. Attraverso il Fondo Umberto principe di Piemonte, nel 1905 si promossero la costruzione e sistemazione degli asili infantili, finanziandone la ristrutturazione e le spese di gestione e contribuendo a creare una capillare rete di ricoveri dove le madri lavoratrici, per lo più operaie, potevano collocare i propri bambini. Più recentemente, del 1965 fu la costituzione della Fondazione Opere Sociali della Cariplo che finanziò numerose strutture assistenziali e di primo rifugio rivolte in primis agli emigranti (in particolare quelli che arrivavano al nord dal su dell’Italia) e agli studenti, anche provenienti dai paesi in via di sviluppo.

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